Il primo segnale di una gravidanza è la mancanza della mestruazione che, se accompagnata da un test positivo, sancisce la presenza del futuro bambino. Questo evento sia nelle donne che hanno desiderato rimanere incinta, sia in quelle che non lo hanno desiderato, porterà ad una rielaborazione della propria identità.
Durante il primo trimestre la donna vive una forte ambivalenza emotiva che durerà per tutti e nove i mesi della gestazione e che consta di sentimenti contrastanti e coesistenti, può sentirsi onnipotente, come una dea lunare, dea della fertilità e della creazione e avvertire, inoltre, un profondo senso di completezza corporea e gioia creatrice. Contemporaneamente può sentirsi impotente, perché al suo interno si sta sviluppando un processo che non può controllare né gestire e a livello simbolico si trova nella fase della luna nera o novilunio.
L’accettazione e il rifiuto sono una parte necessaria del processo di trasformazione che porterà la donna a lasciare una parte di sé per fare spazio ad un altro essere. Questa è una fase particolarmente delicata in cui la donna non è ancora in grado di percepire il proprio bambino con caratteristiche reali, è vissuto come un “roseo sogno” o come lo definisce Soulé blanc d’enfant (vuoto di bambino), “poiché la sua attenzione è puntata principalmente su se stessa, sul proprio funzionamento corporeo, sui propri vissuti[1]”.
Silvia Vegetti Finzi sottolinea come la maternità provochi una crisi nell’esistenza di ogni donna, che deve destrutturare gli equilibri precostituiti ed elaborare un diverso e più complesso adattamento. Dice l’autrice: “il figlio rappresenta un nuovo ambito di possibilità ma comporta anche la rinuncia ad altri progetti[2]”. Ad esempio, prima c’era solo la coppia, poi interviene un 3° già presente nei nove mesi, prima c’era un lavoro nella maggior parte dei casi, poi interverrà una pausa necessaria, che spesso pesa.
Il complesso lavoro di ristrutturazione dell’identità e dell’immagine corporea inizia in silenzio, all’interno del corpo nelle prime settimane di gravidanza, in mancanza di evidenti cambiamenti esterni. Così come quando il cielo, la notte è scuro e sembra che non avverrà alcun cambiamento, mentre in realtà il primo quarto di luna è pronto a comparire.
Durante la gravidanza la madre tende a distogliere le energie psichiche dal mondo esterno per indirizzarle a quello interno, andando verso l’introversione.
In questo stato la donna tenda a dormire di più, sia perché rappresenta una difesa biologica relativa al bisogno di maggior riposo necessario allo sforzo fisico che deve affrontare, sia perché segna l’inizio della regressione, che permette alla donna di superare il conflitto tra accettazione e rifiuto. Qui il termine regressione non deve essere utilizzato, secondo Miraglia, con valenza negativa o come sinonimo di involuzione. La donna, infatti, secondo l’autore vive un viaggio a ritroso nelle fasi della propria infanzia, per poter conoscere meglio il figlio che porta in grembo, “… perché sembra necessario che per poter conoscere il proprio bambino sia necessario nascere con lui, ritornando ad essere, fantasticamente ed identificatoriamente, prima ovulo, poi embrione e quindi feto senza perdere la propria identità matura[3]”.
La regressione prevede anche un processo identificativo nei confronti del materno che è basato su un tenero attaccamento alla madre e che prende quest’ultima come modello. In alcuni casi l’identificazione con il materno crea un conflitto, con il desiderio di essere diverse dal modello che la propria madre ha proposto. La gestante grazie a questo processo si separa dalla propria madre per arrivare ad una relazione paritetica con lei: adesso anche io sono madre!
Winnicott sosteneva che una delle capacità fondamentali della madre è rappresentata dal “contenimento” che deve essere “dapprima fisico durante la vita intrauterina per poi allargare il suo significato a comprendere l’insieme delle cure materne[4]”. Qui si possono vedere le analogie con la coppa o il tema dell’acqua riferito ai principi del femminile.
In questo primo trimestre si possono verificare tutta una serie di sintomi somatici, come nausea e diarrea, che la psicoanalisi, ricollega simbolicamente ad un rifiuto della gravidanza o del nuovo essere che sta prendendo sempre più spazio. Soifer pensa che vomito e diarrea rappresentino la paura della donna nei confronti della propria ambivalenza: la neo-mamma cerca di espellere il rifiuto vissuto come parte cattiva di sé, mentre cerca di trattenere ciò che di sé percepisce come buono e che coincide con il figlio. Le voglie nei confronti di cibi strani o l’aumento della fame sono collegati alla tendenze ad incorporare. Anche stitichezza o diarrea sono legate allo stesso conflitto, ma semplicemente espresso con altri organi.
Nausea, vomito e false contrazioni possono anche rappresentare una sorta di richiamo della gestante che, sentendosi sola in un contesto famigliare nucleare, cerca d’attirare l’attenzione su di sé attraverso questi sintomi. Spiegazioni più attuali si rifanno, invece, a fenomeni definiti simpatici, poiché riconducibili a modificazioni del sistema nervoso simpatico e parasimpatico. Non va dimenticato, infatti, che nausea e vomito lievi sono comunque di natura fisiologica, essendo dovuti ai cambiamenti ormonali che si verificano durante questo trimestre. “Alla modificazione generale dell’equilibrio ormonale si aggiunge la comparsa di un ormone prodotto dalla placenta, la gonadotropina corioninca (HCG), oltre ad un generale abbassamento del tasso di zuccheri nel sangue[5]”. La conseguenza necessaria è un’ambivalenza fra il desiderio di trattenere e quello di espellere, fra l’accettazione e il rifiuto, viene definita da Vegetti Finzi fisiologica, in quanto l’amore tende a coesistere con varie forme d’ostilità, paura ed aggressività. L’origine di questo sentimento è legato alla complessa attività di concepire l’esistenza di due persone in un corpo solo e al riemergere dei vissuti inconsci. La donna è in parte se stessa e in parte diversa da sé. Bibring, infatti, sostiene che il compito più difficile per la madre sia di arrivare a percepire come parte di sé il nuovo corpo, che si sviluppa nel suo.
E’ necessario che questa ambivalenza si concluda con la creazione di uno spazio interno dedicato al bambino, che non deve essere solo fisico, ma soprattutto mentale, per iniziare a vivere un rapporto fantasmatico e al tempo stesso concreto con il nascituro. All’inizio lo spazio è un’area di fusione in cui madre e bambino coincidono, poi verrà sempre più differenziandosi fino al momento del parto.
Dott.ssa Alessandra Santangelo (psicologa e psicoterapeuta)
Bibliografia
[1] Rigetti P.L., Sette L., 2000, Non c’è due senza tre, Boringhieri, Torino.
[2] Vegetti Finzi S., 1990, Il bambino della notte, Arnoldo Mondatori, Milano.
[3] Argomenti trattati in Rigetti P.L., Sette L., 2000, Non c’è due senza tre, Boringhieri, Torino.
[4] Winnicott D.W., 1990, Dal luogo delle origini, Raffaello Cortina, Milano.
[5] Rigetti P.L., Sette L., 2000, Non c’è due senza tre, Boringhieri, Torino.